Partiamo da una qualche concetto di base:
la stragrande quantità di quello che mangiamo contiene una quota, più o meno
abbondante, di zuccheri, altrimenti detti "carboidrati".
Il ruolo di questi zuccheri, insieme alle
altre sostanze nutritive dell'alimento, è di essere digeriti in zuccheri più
semplici, assorbiti e utilizzati come energia o trasformati in scorte per i
momenti di necessità dalle cellule dell'intero organismo.
La glicemia, ovvero la quantità di
zucchero nel sangue, è mantenuta all'interno del range di
normalità da due ormoni principali, entrambi prodotti dal pancreas. Lo scopo di
entrambi gli ormoni è mantenere lo zucchero nel sangue a un livello abbastanza
alto perché sia disponibile per organi a cui serve e sufficientemente basso per
non fare danni.
Questi due ormoni sono la celebre l'insulina e
il meno celebre glucagone.
I due ormoni hanno compiti diametralmente
opposti: l'insulina è messa in circolo quando gli zuccheri nel sangue sono
troppi e il suo segnale sulle cellule (quando sono in grado di rispondere
correttamente) è quello di farci entrare lo zucchero, perché venga utilizzato.
Il glucagone, invece, entra in azione quando gli zuccheri nel sangue cominciano
ad abbassarsi.
Quando l'insulina non c'è (per mancata
produzione, come tipico del diabete di tipo 1) o non funziona (nel caso
d'insulino-resistenza, come tipico del diabete di tipo 2) si instaura una
condizione di dannosa iperglicemia (senza che lo zucchero riesca ad essere
utilizzato correttamente da tutte le cellule).
L'ipoglicemia (zuccheri troppo bassi nel
sangue) è più difficile da ottenere per mancanza di ormoni (ne esistono altri,
oltre al glucagone, che sono in grado di agire nello stesso modo) e il caso più
facile perché si manifesti è quello di un eccesso d'insulina, per massiva
produzione da parte del pancreas o perché fornita in eccesso dall'esterno.
Quando un pasto contiene degli zuccheri
(quasi sempre), la velocità con cui essi passano dal canale digerente al sangue
influenza in modo variabile la modalità con cui l'insulina viene secreta: un
aumento della glicemia che sia lento e modulato produrrà una secrezione più
lenta e modulata.
Al contrario, un ingresso imponente e
veloce di zuccheri porta a una secrezione di insulina più rilevante, tanto che,
spesso, si passa rapidamente da una condizione di iperglicemia post prandiale a
quella di ipoglicemia reattiva (si tratta di
solito di una ipoglicemia "relativa": nel range di normalità, ma
verso il basso).
La velocità con cui uno zucchero puro
passa nel sangue è definita dall'indice glicemico. Si tratta di un calcolo che
confronta lo stesso quantitativo di zuccheri proveniente da alimenti diversi.
Per fare un esempio d'impatto immediato,
assumendo 100 grammi di zuccheri di sedano rapa, lo zucchero nel sangue aumenta
con una velocità molto simile a quella di 100 grammi di zucchero presi dal
riso.
L'indice glicemico del sedano rapa e
quello del riso sono quasi gli stessi, ma risulta assolutamente intuitivo
comprendere che per ottenere 100 grammi di zucchero di sedano rapa serve
mangiarne molto di più di quanto invece non avvenga con il riso, di cui basta consumarne
decisamente meno per ottenere gli stessi 100 grammi di zuccheri.
Diventa dunque necessario introdurre un
nuovo metodo di valutazione, in grado di calcolare la capacità dell'intero
alimento (e non solo di un concentrato dei suoi zuccheri) di alzare la
glicemia: si tratta dell'impatto glicemico.
Tale valore sarà spesso nettamente
differente perché la velocità di passaggio nel sangue degli zuccheri è
marcatamente influenzata, tra le altre cose, dal contenuto di fibra, grassi e
proteine dell'alimento.
Il riso bianco, che un'altissima
percentuale di carboidrati, continuerà ad avere un impatto glicemico molto
alto, il riso integrale avrà un valore un po' più basso, grazie alla maggior
presenza di fibra, mentre il sedano rapa, che contiene moltissima fibra e acqua
a fronte di una percentuale di zuccheri molto bassa, avrà un valore bassissimo.
Lo stesso concetto può essere ampliato e
utilizzato, concettualmente, per comporre i propri pasti: mangiare un
cioccolatino da solo ha un effetto diverso dal mangiare lo stesso cioccolatino
all'interno di un pasto completo che contenga una buona quota di fibra e
proteine.
Poiché una delle azioni principali di un
eccesso d'insulina (come risposta a un aumento troppo rapido degli zuccheri nel
sangue) è lo stimolo all'accumulo di grasso, risulta
evidente che scegliere alimenti e combinazioni nutrizionali a basso impatto
glicemico condizioni positivamente il mantenimento di una buona forma fisica,
agendo per altro anche sul senso di sazietà e sul mantenimento di un buono stato dell'umore (le ipoglicemie
reattive non fanno bene né alla fame né allo spirito).
Per questo, abbinare sempre una quota
proteica a quella di carboidrati, utilizzare con intelligenza i grassi (anche
loro abbassano l'impatto glicemico) e scegliere, il più possibile, carboidrati integrali (o quelli
contenuti in frutta e verdura, che producono un impatto glicemico
tendenzialmente basso) è uno dei modi più semplici, gustosi ed efficaci per
aiutarsi a stare bene, sani e in forma.
Michela Speciani
Redazione Eurosalus
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