di Piero Colangelo
Agli inizi degli anni novanta,
quando cominciavano a prendere corpo le prime ultramaratone corse in condizioni
di particolari difficoltà, quelle che gli americani chiamano “trail running
adventure”, forte era lo scetticismo degli stessi maratoneti e tecnici del
settore che le identificarono come “gare massacranti di scarso significato
tecnico ed agonistico” o, addirittura, delle “autentiche follie”.
Era ancora lontana la
convinzione che il corridore si trovasse
di fronte a prove di resistenza molto
tecniche che richiedevano una forte evoluzione del settore. Evoluzione che negli
ultimi anni ha mostrato una forte accelerazione sul lato della ricerca
scientifica e medica (non a caso lo skyrunner viene definito l’atleta più
studiato), dopo un decennio di scarso interesse determinato soprattutto
dalla mancata presenza delle ultramaratone nel panorama delle specialità
olimpiche.
Correre una gara di endurance in
condizioni di difficoltà significa soprattutto
affrontare un’impresa che presenta situazioni a volte sconosciute ed
impreviste e che pone il corridore
nell’esaltante condizione di
sfidare in primo luogo se stesso, inducendolo a
toccare sino in fondo i propri limiti psicofisici.
Rispetto alle gare di maratona ed ultramaratona
tradizionale, la molla che spinge i corridori di qualunque età a partecipare in
numero sempre maggiore a questo tipo di
competizioni, non è rappresentata soltanto dalla spinta emotiva di realizzare
una certa prestazione, che per alcuni podisti amatori consiste solamente nel
tagliare il traguardo, ma svolgono un ruolo altrettanto fondamentale la
passione per l’avventura e il desiderio di
conoscere meglio se stessi mettendosi alla prova in situazioni
oggettivamente proibitive.
Si tratta di competizioni altamente selettive che si
rivolgono ad atleti ben preparati che possono vantare una militanza consolidata
negli anni nella corsa di endurance, nelle quali il livello prestativo, per
quanto fondamentale, non rappresenta l’unico elemento che contraddistingue le
qualità del supermaratoneta, poiché si rivelano d’importanza altrettanto primaria le qualità di resistenza alla fatica, ai
disagi e persino alle privazioni, che le competizioni più dure a volte
impongono. Basti pensare che il fratello
di Mohamad Lahcen (vincitore delle ultime edizioni), Mohamad Ahansal, quando
nel 1998 vinse la sua Marathon des Sables ( 16h, 22’, 29”), poteva vantare
soltanto un personale di 2h,41’ alla maratona di Marrakech ed un ritiro a
quella di Casablanca, ma alla MdS sorprese tutti per il suo stile di corsa
assolutamente redditizio sia sulle
pietre che sulle dune ed una capacità si sopportare la fatica e le insidie del caldo non comuni.
L’ultramaratoneta dovrà dimostrare una propensione non comune a correre in
condizioni di difficoltà per diverse ore
al giorno e per alcuni giorni senza
avvertire un eccessivo stress sia a livello psicologico che fisiologico e
mantenere una discreta azione di corsa anche
quando sopraggiunge la stanchezza. A comandare i nostri muscoli è
soprattutto il nostro cervello.
Le capacità di resistenza che si
richiedono vanno pertanto interpretate
in senso generale e non solo
circoscritte al solo aspetto fisiologico
e funzionale; la preparazione del supermaratoneta dovrà migliorare il
corridore anche sotto l’aspetto
mentale (resistenza mentale), affinando
le sue capacità di mantenere a lungo la
concentrazione ed a conservare il controllo delle proprie emozioni nei momenti di maggiore difficoltà.
Coloro che hanno in animo di affrontare questo tipo
d’impegno dovrebbero aver completato alcune maratone ed ultramaratone senza
avvertire particolari segni di stanchezza, difficile che possa sopportare i
carichi della preparazione e terminare con successo la prova chi non dimostra una particolare predisposizione
agli sforzi prolungati.
E’ bene che rinunci chi
incorre di frequente in problemi all’apparato locomotore, quali lombosciatalgie
o presenti patologie alle ginocchia, come l’usura delle cartilagini, e coloro
che hanno subito in tempi relativamente recenti fratture da stress.
E’
notorio come la corsa di lunga durata si avvicini maggiormente alle
caratteristiche biomeccaniche dell’uomo, per un essere umano si dimostra più
congeniale svolgere un lavoro prolungato a ritmi non elevati, piuttosto che un
lavoro meno lungo ma più intenso.
Pertanto, chi affronta le ultra
maratone e le gare di endurance estremo in particolare, dovrà imparare ad utilizzare
le sue capacità di correre in equilibrio aerobico, gestendo in modo certosino
il proprio patrimonio energetico migliore. La gara andrà affrontata sempre
sottoritmo con l’obiettivo primario di
evitare un anticipato esaurimento del glicogeno muscolare attraverso l’utilizzo
di una sua bassa percentuale rispetto
agli acidi grassi. Il corridore di resistenza ha conosciuto a proprie spese
come il passaggio completo al cosiddetto
combustibile di riserva, ovvero i grassi, oltre a non determinare lo stesso
rendimento calorico, comporta un accumulo di sostanze residue nel sangue, ad
esempio i corpi chetonici, che finiscono per rendere la macchina umana meno
efficiente.
Perché la meccanica di corsa sia quanto più economica
possibile è fondamentale che il passo del supermaratoneta sia piuttosto radente
al terreno, con i piedi che si sollevano poco in modo da determinare una
ridotta sollecitazione delle strutture degli arti inferiori.
Chi manifesta una corsa tendente a spingere il corpo più
in alto che in avanti (corsa saltellante) dovrà, con l’aiuto del proprio
preparatore, correggere la propria azione di corsa, rendendola più confacente
alle esigenze che la corsa di resistenza richiede.
Si dimostrano
maggiormente predisposti al passaggio da corridore di resistenza
classico a skyrunner e desertrunner quel tipo di maratoneta che ama
correre per il solo gusto di stare tanto
tempo sulle gambe, senza prestare molta
attenzione al cronometro. Egli ha
acquisito nel tempo una notevole sensibilità nello gestire al meglio le proprie
energie, sa interpretare come pochi le
sensazioni del momento e difficilmente
cade nella trappola di voler mantenere un certo ritmo ad ogni costo con
la inevitabile conseguenza di andare incontro a crisi da abbandono durante l’allenamento o, peggio
ancora, in gara.
Per coloro che si
cimentano di sovente in gare di endurance, la preparazione per una trail
running adventure può rappresentare l’occasione per trovare nuove motivazioni,
senza contare che rappresenta l’imperdibile occasione per migliorare le
capacità motorie, realizzando così un accrescimento delle
capacità prestative.
I messaggi pubblicitari
che promuovono queste competizioni a
volte non mettono nel dovuto risalto le reali difficoltà a cui va incontro
l’atleta. Il corridore che intende immergersi in questa avventura non può
prescinde da una accurata preparazione atletica, un equipaggiamento idoneo ed
una conoscenza approfondita delle problematiche legate al clima, alla quota ed
alle caratteristiche del terreno.
Non capita di rado di
ritrovare ai nastri di partenza
corridori non adeguatamente preparati dal punto di vista atletico e
malamente addestrati ed equipaggiati ad affrontare le insidie del
percorso. Il tutto si riassume in un’ amplificazione degli sforzi da parte del corridore per raggiungere il
traguardo.
L’allenamento di base per preparare una trail running adventure
Le ultramaratone corse in
condizioni di estrema difficoltà richiedono una pianificazione dell’allenamento
che non si discosta molto da quella indirizzata alla preparazione di una qualsiasi ultramaratona, specie per
quanto riguarda la fase di costruzione e
messa in forma.
L’allenamento diretto al
miglioramento dell’aspetto condizionale del corridore non ha visto ancora la nascita di risposte definitive, nemmeno sono state
individuate importanti innovazione per quanto riguarda la metodologia e, pertanto, la classica suddivisione della
pianificazione nelle tre fasi canoniche della resistenza aerobica, della forza
resistenza, e preparazione specifica rimane, a mio avviso, il protocollo
più efficace per preparare l’ultramaratoneta di qualunque livello.
Prima di iniziare una qualunque preparazione è bene sottoporsi a dei test valutativi della forza muscolare e della determinazione della frequenza
cardiaca corrispondente ai livelli di
soglia aerobica ed anaerobica.
Ogni macrociclo sarà
caratterizzato da “lavori specifici” che affineranno determinate
caratteristiche dell’atleta ed altri “comuni” in tutte e tre le fasi, tendenti
a migliorare la resistenza fisica e mentale allo sforzo.
Il piano di preparazione dovrà
obbedire al criterio della “progressività”, pertanto, con l’andare avanti della
preparazione, l’atleta si troverà ad affrontare
carichi di lavori sempre maggiori.
Un risultato positivo in questo
genere di gare trova sempre il suo fondamento in un’accurata e attenta
programmazione dell’allenamento che sappia
individuare ed introdurre
efficacemente nella preparazione del corridore una serie di lavori ( per esempio, la tecnica che permette
di utilizzare i bastoncini da sci nelle salite) che ad un primo superficiale
esame potrebbero risultare marginali ma che, nel contesto della competizione,
possono risultare a volte determinanti
per il risultato finale, mentre le ragioni di una prestazione negativa vanno
ricondotte, nella maggior parte dei casi, agli errori di programmazione che
possono sinteticamente riassumersi in
- scarso allenamento ai ritmi che si dovranno tenere nel corso della gara,
- elevata percentuale dei lavori intensivi (sedute piuttosto brevi accompagnate a ritmi elevati) rispetto al carico totale,
- poca attenzione all’apprendimento delle tecniche di corsa
- svolgimento di lavori di potenziamento della muscolatura in prossimità dell’impegno agonistico,
- errato dosaggio dei carichi di lavoro, accompagnato dal mancato inserimento nel programma di giorni di riposo,
- mancata interruzione della preparazione quando si riscontra la presenza di problemi muscolari o tendinei all’apparato locomotore.
La fase della resistenza aerobica
Uno degli obiettivi primari della
prima fase è il miglioramento delle capacità del sistema cardiocircolatorio. L’atleta dovrà
concentrare l’attenzione, più che sul numero dei chilometri effettuato durante
ogni seduta, sulla durata dell’allenamento, Un numero elevato di chilometri corsi ad andature blande stimolerà la
“capillarizzazione” delle fibre lente interessate dall’azione della corsa.
Da un punto di vista fisiologico,
l’organismo dovrà adattarsi a consumare percentuali sempre più elevate di acidi
grassi rispetto alle esigue scorte di glicogeno che è in grado di fornire.
Gli allenamenti andranno eseguiti
su terreni pianeggianti o con leggere pendenze. La corsa non dovrà mai superare
i valori di soglia, ma, nella quasi totalità delle sedute, l’atleta
correrà conservando quando più possibile
la massima decontrazione a livello muscolare. Dovrà avvertire la sensazione che
l’azione degli arti inferiori non produca alcun senso di affaticamento, quasi che essa sia automatica e non dettata
dagli impulsi celebrali.
Una seduta d’allenamento verrà
dedicata al fondo medio o progressivo corso ad un ritmo che più ò meno
coinciderà con quello che il corridore è in grado di tenere nel corso di una
maratona (sollecitazione del reclutamento muscolare ed incremento della potenza
lipidica) ed almeno ogni quindici
giorni l’allenamento dovrà prevedere la corsa con variazioni di ritmo di 1’ o
2’ al fine di evitare che si verifichi uno scadimento dell’azione di corsa. E’
senz’altro una buona abitudine terminare la seduta di corsa lenta con una serie
di allunghi non impegnati.
Sarà indispensabile dare maggiore
spazio al lavoro di stretching. Il prolungato impegno muscolare ad andature
blande determina una sensibile perdita della flessibilità muscolare con
conseguente riduzione della capacità lavorativa del muscolo a cui si accompagna
il rischio d’infortuni.
La fase della forza- resistenza
La seconda fase della
preparazione dovrà prevedere un
incremento dei carichi sia dal punto di visto quantitativo che qualitativo.
L’atleta che ha completato la prima fase, ed ha quindi visto migliorare le sue
capacità di resistenza, non incontrerà
grosse difficoltà nell’affrontare i lavori previsti dal programma.
I cambiamenti
biomeccanici che l’allenamento determinerà
incrementeranno in misura maggiore le sue capacità prestative ed i
tanti chilometri non rappresenteranno
più un problema.
Nel programma è prevista
anche la partecipazione a gare
domenicali di 20 e più chilometri, mentre l’atleta che si prepara per le gare
skyrunning avrà la possibilità di verificare la propria condizione e, allo
stesso tempo, migliorarla correndo qualche gara di corsa in montagna o skyrace.
La scelta dei percorsi su cui
effettuare la maggior parte delle sedute cadrà sui tracciati che presentano continui
saliscendi. In particolare, lo skyrunner dovrà privilegiare i tracciati
montagnosi le cui caratteristiche si avvicinano a quelle delle gare da
affrontare.
I
tratti più impegnativi andranno corsi monitorando con estrema attenzione
la sforzo cardiaco; il corridore dovrà imparare a mantenere sempre bassa la
spesa energetica della sua corsa anche quando affronta una salita. Non basta il
tratto in discesa a compensare quanto si è speso in più nel tratto impegnativo.
A differenza di quanto normalmente viene suggerito nella
settimana in cui è in programma una gara, non sono indicati nel piano
d’allenamento i classici lavori di scarico. L’obiettivo è quello di abituare il
corridore a gareggiare in condizioni di
lieve affaticamento a livello organico e muscolare in modo da ricreare in parte le situazioni che
incontrerà nell’affrontare una gara di trail running adventure.
Si tratta, pertanto, di un
training che non è soltanto organico ma che affina in modo particolare le
qualità psicologiche dell’atleta che
dovrà allenare la sua mente a
sopportare e superare anche i momenti di
“crisi da abbandono” che possono
cogliere il corridore durante la prestazione.
Nei giorni in cui non è
previsto l’allenamento è bene puntare l’attenzione sul lavoro di muscolazione,
determinante più di quanto non si creda sull’esito finale della prestazione.
Non solo chi dovrà affrontare percorsi montagnosi con elevati dislivelli ma
anche chi si cimenterà nelle gare desertiche non potrà trascurare il
potenziamento della muscolatura sotto l’aspetto della forza-resistenza.
Il desertrunner rimarrà “sulle
gambe” per tante ore al giorno e per
alcuni giorni consecutivi. Nel momento in cui i muscoli risentiranno della
fatica, la sua corsa diverrà inevitabilmente più dispendiosa e meno redditizia.
Per di più, l’azione della corsa lenta comporta una scarsa escursione delle articolazioni e
dell’estensione della muscolatura con conseguente scadimento delle capacità
funzionali dell’atleta.
Il
potenziamento muscolare riguarderà anche
la forza generale, determinante per la
prevenzione degli infortuni, da curare nei mesi in cui il corridore riduce la
sua attività.
La fase della preparazione specifica
La fase della preparazione
specifica assumerà connotati diversi a
seconda del tipo di prestazione che l’atleta
intende affrontare. In ogni caso, per il desertrunner e lo skyrunner
l’obiettivo primario rimane la crescita delle
caratteristiche di resistenza
generale di cui si è accennato in precedenza.
Verrà privilegiata la corsa ad
andature vicine a quelle che l’atleta dovrebbe tenere durante la gara
ricreando, per quanto possibile, le condizioni in cui si ritroverà l’atleta nel
corso della sua performance.
I carichi di lavoro, gradualmente
cominceranno a diminuire, verrà abbandonato il lavoro di potenziamento
muscolare, mentre continuerà ad avere il suo spazio settimanale o quindicinale
il lavoro intervallato.
La preparazione dello skyrunner
La corsa fuoristrada (trail
running) su percorsi montagnosi è la competizione che meglio di qualunque altra
coniuga sport, natura e libertà. Il successo di queste competizioni ha superato
ogni ottimistica previsione: secondo i dati della F.S.A. (federazione for Sport
at Altitudine) il 2006 ha consolidato il successo dello skyrunning con circa 7.000
presenze in Italia di atleti di oltre 40 associazioni, mentre le gare
internazionali riconosciute dalla F.S.A. hanno visto il coinvolgimento di oltre
20.000 skyrunner di 31 nazioni. In particolare, le gare organizzate in Italia
nel 2006 hanno superato il numero di
cinquanta, facendo registrare ancora una volta una sostanziale crescita
rispetto agli anni precedenti.
Al fine di dare uno specifico
connotato alle gare di Skyrnning, la F.S.A. internazionale ha fissato le regole
fondamentali che disciplinano la corsa in montagna, individuando alcuni tipi di
manifestazioni.
Sono considerate gare di
Skyrunning, classificate come gare estreme,
le Skymarathon: competizioni o
prestazioni che raggiungono una quota di almeno 4.000 sul livello del mare, o
superano i 2.000 metri con una distanza di 42, 195 km. Vengono definite
Skymarathon anche le competizioni che prevedono almeno 2.000 metri di
dislivello complessivo (anche non consecutivo) in salita e discesa con uno
sviluppo complessivo in lunghezza superiore ai 20 km e le competizioni che si
disputano su percorsi pianeggianti (+/-
250 m) a quota uguale o superiore a 4.000 metri e sulla distanza di 42, 195 km.
Le pendenze dovranno essere
inferiori al 40% con difficoltà
alpinistiche che non possono superare il secondo grado.
Le Skymarathom che superano la
distanza della maratona (tolleranza +/-5%) devono essere identificate come
Ultraskymarathon.
Le Skayrace sono competizioni con le stesse
caratteristiche tecniche delle Skymarathon con quote che superano i 2.000 metri
(ma non arrivano a 4.000), con distanze di 20 km o più (tolleranza – 10 % ) e quote superiori
ai 2.000 metri e dislivelli di oltre
1.000 metri in salita.
Il Vertical Kilometer, prova in salita di lunghezza variabile ma con
dislivello fisso tra partenza ed arriva di 1.000 m.
Le gare di Skayrunning si differenziano nettamente dalla
corsa in montagna dove le prove raramente sopra i 2.000 con una lunghezza
massima del tracciato che non supera i quindici chilometri. I dislivelli possono raggiungere i 200 metri
in salita per km in salita e 100 metri per km in discesa.
Nelle gare di Skyrunning omologate dalla F.S.A.
sono previsti lungo il percorso o nei pressi dei punti di ristoro dei cancelli
dove sono posizionati dei commissari di gara che hanno il compito di
controllare i tempi di passaggio dei partecipanti . L’atleta che raggiunge il
controllo quando è scaduto il tempo massimo previsto ( il tempo limite per il
passaggio ad ogni controllo ufficiale non deve mai essere superiore al 135% del
tempo impiegato dal primo atleta giunto al controllo) viene estromesso dalla
gara. Lo spirito del regolamento è
quello di rammentare ai partecipanti che le prestazioni di Skyrunning hanno
come caratteristica tecnica dominante la velocità e, nello stesso tempo, di
preservare la salute degli atleti che si dimostrano in quella giornata non
idonei ad affrontare per intero la prova.
L’imperizia, la stanchezza fisica
e la perdita di concentrazione sono, nella quasi totalità dei casi, le
cause degli infortuni in cui incorrono
gli atleti in tali manifestazioni. Per tale ragione sono esclusi dalla
competizione i corridori che non hanno esperienza alpinistica o non possono
vantare una maratona chiusa in meno di 3h per gli uomini e 3h,30’ per le donne
negli ultimi cinque anni.
Sono invece ammessi alla
competizione coloro che hanno partecipato a corsi specifici ufficiali
organizzati dalla F.S.A. o hanno concluso, entro il tempo limite una
Skyrace.
In una gara di skyrunning si
assiste ad una continua variazione del percorso, si passa con estrema facilità
dal terreno fangoso al nevaio d’alta quota, dai ghiaioni al sentiero classico
di montagna.
Pertanto, alle difficoltà rappresentate dall’altura, dalle
pendenze e dalla lunghezza del tracciato, a rendere ancora più arduo l’impegno
del corridore vanno considerate anche le
insidie del percorso, ed in particolare, “la scivolosità” e “le difficoltà
naturali”.
Le difficoltà naturali sono
rappresentate soprattutto dagli ostacoli
che rendono particolarmente discontinua l’azione di corsa. Alcuni ostacoli
naturali possono definirsi “stabili” come ad esempio gli scalini, i tronchi
d’albero o “instabili” se poggiati su terreni friabili o fangosi.
Dal punto di vista biomeccanico
gli ostacoli naturali comportano un continuo cambio della frequenza e della lunghezza del passo, accompagnato da altrettante
variazione dell’appoggio del
piede sul terreno, mentre sui percorsi fangosi e nevosi il piede tende a
scivolare all’indietro durante la fase di spinta, rendendo meno efficiente
l’appoggio.
E’ facile intuire come la
modifica continua dell’azione di corsa comporta un dispendio energetico per
chilometro maggiore rispetto alla corsa su terreno non accidentato. Una
parziale compensazione della maggiore
spesa energetica viene offerta dai bastoncini da sci, ammessi per questo tipo
di competizioni, che facilitano la ricerca dell’equilibrio e la spinta
propulsiva in salita e nei tratti più scivolosi.
Gli atleti che meglio si adattano
a questa specialità sono quelli che provengono dalla corsa in montagna,
alpinismo, sci di fondo, ma anche chi abita in altura ed ha corso maratone e
ultramaratone ha ottime possibilità di ben figurare in questa disciplina.
L’allenamento specifico per lo
skyrunner dovrà prevedere le cosiddette
sedute di condizionamento in quota; è
indispensabile che almeno un microciclo della preparazione venga effettuato in
altura ed i lunghissimi siano corsi ad altezze
superiori ai 2.000 metri con un dislivello di almeno, mille, millecinquecento
metri. Un atleta di elite non effettua meno di 2.500 - 3.000 meri di dislivello
in salita nel corso di una settimana nella seconda e terza fase della
preparazione.
Attraverso le sedute di
condizionamento in quota è possibile limitare gli effetti dell’ipossia; in alta
montagna si registra una riduzione sensibile della pressione atmosferica, e
quindi dello stesso ossigeno, con la
conseguenza che diminuisce la diffusione
di questo gas nel sangue ed il
suo legame con l’emoglobina
(ipossia).
Vengono così penalizzati i
processi metabolici aerobici e quindi le capacità prestative dell’atleta che,
rispetto a quanto avviene a livello del mare, sperimenterà un accumulo di acido
lattico nel sangue a ritmi meno elevati. Secondo alcune ricerche effettuate in
Valle d’Aosta su atleti skyrunner è risultato che la velocità media rispetto al livello del mare si riduce al 72 per
cento a 4.200 metri e al 62 per cento a 5.200 metri;
L’organismo reagisce a questa situazione di disagio con
meccanismi di “intervento immediato”, quali l’aumento della frequenza respiratoria e cardiaca uniti ad altri chiamati di “acclimatizzazione”, che esplicano i loro
effetti nel giro di alcuni giorni, quali l’aumento del numero dei globuli rossi
ed una maggiore concentrazione di emoglobina nel sangue.
Altrettanta attenzione andrà
posta all’acquisizione delle tecniche dirette a rendere la corsa quanto più
redditizia possibile nei tratti di salita (quando vengono usati i bastoncini da
sci) e di discesa.
La discesa lunga ed in alcuni tratti ripida ed
accidentata metta a dura prova l’apparato locomotore che deve essere adeguatamente allenato per
affrontarla. Va quindi rispettato con particolare riguardo il principio della progressività dei
carichi. In particolare, nei tratti di discesa, quando il terreno è scivoloso
bisognerà acquisire la tecnica di corsa
che tende a prolungare la fase di appoggio del piede, (quasi a provocare una
sorta di scivolata) il che comporta una
maggiore velocità ed un minore dispendio
energetico.
Anche gli ostacoli naturali andrebbero
affrontati senza rallentare sensibilmente l’azione di corsa. Gli atleti più
esperti superano queste difficoltà
adottando una tecnica che prevede tempi di contatto con il suolo molto
brevi ed una fase di volo molto prolungata in modo da effettuare passi
lunghi ed appoggi nei punti meno insidiosi (cosa a balzi).
Saper correre in discesa mantenendo una
velocità elevata si rileva una caratterista fondamentale per il corridore di
skyrunning, le statistiche dimostrano che in molte competizioni la vittoria
finale privilegia quegli atleti capaci di raggiungere una maggiore velocità nella fase di discesa.
Quando si effettua la corsa in
salita bisogna tenere in debito conto che il corpo va portato non soltanto in
avanti ma va anche “sollevato”, situazione che comporta un incremento notevole
della spesa energetica con conseguente innalzamento della frequenza cardiaca.
La frequenza andrà monitorata con
particolare attenzione. Le difficoltà del percorso e la carenza di ossigeno
innalzano con facilità la frequenza cardiaca facendole raggiungere valori superiori alla soglia anaerobica con
la irrimediabile conseguenza che venga pregiudicata la prestazione. L’atleta
che non gestisce in modo appropriato le sue energie verrà irrimediabilmente colpito
da crisi irreversibili, recuperabili solo scendendo di quota.
Lo skyrunner con ambizioni
agonistiche dovrà curare con attenzione
il proprio motore aerobico, la corsa media e progressiva ed i lavori
intervallati su terreno montagnoso acquisteranno un posto importante nella programmazione dell’allenamento della
seconda e terza fase. La durata di tali lavori non dovrà essere inferiore
all’ora e superare l’ora e trenta e verranno privilegiati i percorsi con una
pendenza non superiore al 3 – 5 %.
L’andatura rispetterà i valori di soglia anaerobica e dovrà mantenersi al di
sotto di un 5%.
I lavori intervallati dovranno
prevedere corsa su salite lunghe e
lunghissime.
Nelle salite lunghe la pendenza
non dovrebbe superare 8 – 10 %, non sono consigliabili pendenze maggiormente
impegnative altrimenti s’impedisce all’atleta di poter sviluppare una buona
velocità di corsa. Il numero delle ripetute sarà piuttosto elevato e l’andatura dovrebbe più o meno coincidere con il valori di soglia
anaerobica rilevati in piano, mentre il recupero andrà effettuato ai valori
della soglia anaerobica.
Le salite lunghissime di distanza di 3 – 10 chilometri
dovranno prevedere pendenze più ridotte (intorno al 5 –8 %) e saranno corse più o meno agli stessi valori di
frequenza delle salite lunghe.
Nella prima e seconda fase
della preparazione sono consigliabili
anche le salite ripide con pendenze superiori al 15% sino a giungere al
20% al fine di completare il lavoro di
rafforzamento muscolare della palestra ed adattare gli atleti ad affrontare
senza problemi i tratti maggiormente impegnativi.
L’abbigliamento in alta montagna
richiede un corredo non molto diverso da
quello normalmente usato dal corridore quando si allena nella stagione fredda.
Come è noto il clima in alta
montagna è estremamente variabile, con improvvisi cambi di condizioni
meteorologiche, la temperatura mediamente diminuisce di mezzo grado centigrado
ogni cento metri di dislivello. Inoltre il vento può contribuire ad abbassare
la temperatura corporea aumentando la dispersione termica.
Lo skyrunner dovrà equipaggiarsi con indumenti che non
trattengono acqua e proteggono dal vento e dal freddo e al tempo stesso
garantiscono traspirazione e leggerezza pur mantenendo caldi.
Sono indispensabili cappellino,
occhiali, fasce termiche, guanti cerotti, ed eventualmente creme protettive per
proteggersi dai raggi UV.
Durante le sedute d’allenamento
ed in gara non vanno mai dimenticati l’altimetro e la bussola.
Per quanto riguarda le scarpe da
utilizzare per lo skyrunning, esse dovranno avere una serie di specifiche
caratteristiche.
Quelle in commercio hanno
raggiunto un elevato livello di affidabilità: analizzandole nei particolari si
nota che la suola presenta un disegno che non trattiene il terriccio e
garantisce una certa stabilità per quanto riguarda l’appoggio del piede,
l’intersuola protegge il piede dagli urti e garantire una certa stabilità
laterale nei movimenti di torsione e la
tomaia mostra una reale resistenza agli urti e alle abrasioni.
Il tessuto è idrorepellente e la conchiglia posteriore risulta
idonea a stabilizzare il tallone nei
tratti di discesa.
Durante le sedute d’allenamento
più lunghe e le gare i piedi tendono a gonfiarsi. Si dovranno pertanto
utilizzare scarpe di almeno un numero più grande del solito.
In alta quota l’umidità dell’aria
è di gran lunga inferiore a quella riscontrabile al livello del mare tanto che
quella inspirata dall’atleta viene
umidificata con l’acqua presente
nell’organismo.
La perdita di liquidi si rivela
così maggiore e più subdola rispetto a
quelle che si osserva in pianura poiché essa è determinata non soltanto dalla
sudorazione ma anche dalla iperventilazione e dalla già citata scarsa umidità
dell’aria.
Il corridore deve pertanto
abituarsi a bere diversi litri d’acqua
pur non avvertendo la sensazione di sete
se vuole tenere lontano il rischio di disidratazione.
Il fabbisogno giornaliero d’acqua
può essere controllato attraverso le variazioni del peso corporeo, che devono
essere assai contenute.
Anche il fabbisogno energetico di un atleta che si allena
per una prestazione di lunga durata in alta quota è molto elevato, circa 2.500 - 3.500 Kcal giornaliere.
In gara gli atleti possono rifornirsi ogni 50 – 60
minuti. E’ importante che l’atleta non si fermi soltanto per bere liquidi
salini e zuccherini, ma provveda ad alimentarsi con qualche barretta
energetica.
Nelle settimane
precedenti l’impegno agonistico lo schema alimentare è quello solito
previsto per le maratone e ultramaratone, andranno pertanto privilegiati i
carboidrati specie nelle due settimane che precedono la gara.
A volte l’atleta trova
difficoltà a nutrirsi ad alta quota,
spesso la digestione e l’assorbimento sono modificati dall’altura per
cui a volte si è affetti da nausea ed inappetenza.
La nausea, in particolare, è un problema da trattare con farmaci
specifici ed indica uno stato di non adattamento alla quota, per cui quando si
ha la nausea è bene non allenarsi.
La preparazione del desertrunner
La corsa immersa nello straordinario scenario naturale
che il deserto è in grado di offrire, è quella competizione che meglio di
qualunque altra incarna la formula “corsa più avventura”. Nel deserto nord
africano si è perso il conto delle ultramaratone che vengono organizzate per
soddisfare la richiesta sempre crescente di tanti corridori di endurance
affascinati dall’idea di affrontare questo genere d’impresa. La più famosa, e
senza dubbio tra le più impegnative, è la Marathon des Sables che si corre tra
i percorsi predesertici del Marocco meridionale.
Un quadro abbastanza indicativo
delle difficoltà che la competizione comporta viene offerto dalla lettura della definizione ufficiale della gara e del
regolamento: “è una corsa a piedi, a tappe, ad andatura libera ed in
autosufficienza alimentare su una distanza di 254 chilometri (156 miglia), con
l’obbligo per ciascun concorrente di portare il proprio equipaggiamento (cibo
ed attrezzatura).
L’equipaggiamento obbligatorio è costituito da uno zaino o equivalente , un sacco a pelo,
una lampada più pile di ricambio, spille di sicurezza, una bussola, un
orologio, un accendino un coltello, integratori, un antisettico cutaneo, un
fischietto, uno specchio di segnalazione, e quello che servirà per il
sostentamento. L’organizzazione fornisce un kit di sopravvivenza comprendente
un foglio di alluminio, un razzo di segnalazione, due bastoncini luminescenti.
una pompa succhia veleno (incluso laccio
emostatico).
L’equipaggiamento obbligatorio e
gli effetti personali devono avere un peso complessivo minimo di 5 chili sino
ad un massimo di 15 chili. La dotazione d’acqua che viene erogata non è
compresa nel peso dello zaino ed è di nove litri al giorno, sino a giungere ai
20 litri nelle giornate in cui sono previste le tappe più lunghe.
Si viene squalificati se si
approfitta di una qualsiasi assistenza esterna.
Al fine di evitare che il
corridore incorra in una crisi di
iponutrizione dovrà predisporre una provvista di cibi che assicuri una
media calorica giornaliera di 2.000 calorie.
Per ridurre al minimo l’ingombro
ed il peso, l’atleta ricorre ai cibi liofilizzati che negli ultimi tempi
riescono ad accontentare anche i palati più esigenti.
La Desert Marathon che italiani prediligono sono la 100 km del
Sahara il cui tracciato si snoda lungo
piste che attraversano ampie fasce predesertiche del sud della Tunisia e la 100
miglia nel deserto della Namibia, sulla costa occidentale dell’africa
meridionale (in entrambe le competizioni è bandita l’autosufficienza).
I concorrenti di solito
alloggiano nelle caratteristiche tende berbere di juta nera non impermeabili,
aperte su entrambi i lati e prive di
servizi igienici .
Il regolamento di queste
manifestazioni è abbastanza rigido. Alla Marathon des Sables, in caso di
mancanza o uso errato o improprio di uno
o più oggetti obbligatori sono previste penalizzazioni
piuttosto severe che possono raggiungere le tre ore, mentre lo zaino che non
rispetta i peso comporta una penalizzazione di mezz’ora.
E’ d’importanza fondamentale la
scelta delle scarpette con cui
effettuare la gara. Anche per gli atleti più veloci sono sconsigliate le leggere e le
intermedie, per questo tipo d’impegno si dimostrano poco resistenti e quindi è alto il rischio che si
corre di dover abbandonare per l’impossibilità di poter continuare a correre
con scarpe fuori uso. La preferenza dovrà cadere su quelle che hanno
un peso non inferiore ai 320 –350 grammi e un numero e mezzo, due più grandi di
quello solito.
E’ importante che la tomaia sia
realizzata con un tessuto ed una particolare forma di calzata che impediscano quanto più possibile
alla sabbia ed al terriccio di penetrare all’interno della scarpa. Esistono poi
particolari ghette da utilizzare quando si affrontano le dune che riducono in
misura ancora maggiore la possibilità che la sabbia e minuscoli sassolini
penetrino attraverso la tomaia ed
esercitino il tanto temuto effetto abrasivo quando entrano in contatto con il
piede.
Una caratteristica irrinunciabile
della scarpa dovrà essere rappresentata dalla pianta che dovrà essere piuttosto
ampia al fine di rendere meno difficoltoso l’appoggio del piede sulla sabbia e
sui sassi.
Già dopo la primo giorno di
corsa il piede tende a gonfiarsi ed a
divenire dolente per le vesciche. I corridori cercano di rimediare calzando più
di un calzino al momento della partenza in modo da poter meglio sopportare
l’impatto con il terreno pietroso, e togliendoli durante il percorso man mano
che il piede tende a gonfiarsi. Ma con il passare dei giorni anche questo
espediente non è attuabile poiché il piede tende ad ingrossarsi in modo permanente.
Correre con i piedi gonfi e
martoriati dalle vesciche su terreni sconnessi o instabili è molto doloroso. Il
ricorso alla pelle artificiale ed alle cure mediche mette l’atleta nelle
condizioni di poter proseguire nell’avventura, ma il dover effettuare gare ogni
giorno non agevola la guarigione ed al
termine di ogni prova il piede è sempre più provato dalla fatica.
La scelta dei calzini dovrà
ricadere su quelli che presentano pochissime cuciture e con i rinforzi nei punti di maggiore usura.
Al momento della calzata va attentamente controllato che non si formino pieghe
all’interno della scarpa, la calza deve avvolgere il piede come un guanto.
Efficaci sono anche le pomate ad azione
preventiva da applicare nelle zone maggiormente fregamento.
Anche gli zaini per quanto
costruiti con materiali sempre più leggeri e resistenti rappresentano un peso poco piacevole da
trasportare. Se non vengono bene allacciati al tronco, le bretelle durante la corsa finisce per creare uno
sfregamento sulla pelle, creando ulteriori fastidi cutanei agli atleti.
Nel corredo di ogni atleta non
dovrà mancare un paio di occhiali da sole che aderiscano il più possibile al
viso al fine di evitare che sabbia e polvere irritino gli occhi e li riparino
dalle forti radiazioni solari, mentre non sarà possibile rinunciare ad un
cappellino con il copriorecchie per riparare quanto più possibile il viso
dall’azione dei raggi solari. I soggetti
con una carnagione piuttosto chiara dovranno anche coprire adeguatamente gambe
e braccia.
Alla lunghezza ed alla durezza del percorso si aggiungono le
difficoltà legate all’orientamento.
Per tale ragione l’atleta dovrà
acquisire una certa dimestichezza all’uso della bussola e saper leggere le
carte topografiche. Ci si deve quindi
allenare facendo escursioni in montagna o nei boschi usando vari tipi di carte
topografiche. La necessità di dover individuare la strada da seguire (non
sempre vi sono cartelli indicatori e le segnalazioni del percorso vengono
effettuare con dei sassi colorati di vernice blu che la sabbia a volte può
nascondere) consiglia una certa cautela nella scelta del ritmo da tenere
durante la gara.
Un ritmo elevato, a cui si
accompagna la lunghezza e durezza del percorso, incidono fortemente sulla
lucidità mentale, condizione indispensabile per mantenere le capacità di
orientamento. Alla MdS del 1994, un ufficiale di polizia italiano, Mario
Prosperi, perse il senso dell’orientamento durante una tempesta di
sabbia e vagò
per il deserto per più di 9 giorni, perdendo oltre 13 chilogrammi.
Alla Desert Marathon (disputatasi
in Libia dal 1998 sino al 2002) il
tracciato rimaneva segreto sino al giorno prima della gara, quando agli atleti
veniva consegnata un road book con le varie informazioni utili. Alla partenza
di ogni tappa, i corridori ricevevano la carta topografica della zona con
l’indicazione del percorso da seguire e
ad ogni posto di controllo, insieme al rifornimento di acqua, gli addetti
consegnavano un biglietto con le indicazioni per giungere al posto di controllo
successivo.
La preparazione specifica
prevede, in buona parte, lavori intensivi con una particolare attenzione per la
meccanica di corsa che dovrà essere quanto più redditizia possibile sia sui
tracciati pietrosi che sulle dune di sabbia.
Per coloro che non hanno la
possibilità di allenarsi su terreni con caratteristiche simili a quelle che
incontreranno nel deserto, una pineta con un fondo vario ( ciottoloso, morbido,
sconnesso) può rappresentare una
discreta alternativa, sarà così possibile trovare un fondo più soffice, ma
ricco di pietre e piuttosto sconnesso,
dove allenare il proprio passo che deve
assumere caratteristiche particolari rispetto a quello più deciso che viene
adottato dall’atleta sull’asfalto quando si cerca di sfruttare al massimo la
risposta elastica determinata dall’impatto con una superficie dura.
Chi si prepara a correre nel deserto dovrà acquisire una meccanica di
corsa il cui impatto con il terreno dovrà essere quanto più possibile leggero,
quasi impalpabile. Già dopo qualche
allenamento basato su questo particolare tipo di corsa l’atleta potrà sperimentare come l’impatto
sui terreni pietrosi sia meno traumatico
e trovi minori difficoltà a mantenere il suo assetto di corsa.
La sua corsa diverrà così più
“silenziosa”; un sistema empirico per
verificarlo sarà quello di correre a
tre, quattro metri di distanza da
un corridore che precede più avanti
senza che quest’ultimo si accorga della presenza.
Già nella fase della forza
resistenza l’atleta dovrà abituarsi a correre con la zavorra dello zaino che lo
accompagnerà per tutta la competizione. All’inizio basterà correre con
l’aggiunta di uno o due chili nello zaino, pian piano s’incrementerà il peso e
la seduta settimanale più lunga andrà
corsa con il fastidioso fardello sulle spalle.
Durante la preparazione è bene
rinforzare con esercizi appropriati le caviglie ed i tendini, in particolare il
tendine d’achille, poiché verranno
sottoposti ad un lavoro straordinario a
causa del numero elevato di chilometri e del terreno sconnesso e pieno di saliscendi.
Il lavoro di muscolazione dovrà
interessare anche i dorsali ed i lombali che dovranno sopportare uno sforzo
supplementare a cui non erano abituati.
Anche il sistema cardiovascolare
dovrà essere bene allenato. Al termine della prestazione, la maggior parte dei
corridori rilevano una frequenza
cardiaca media molto elevata, dell’ordine
di ben 10 –15 battiti per minuto rispetto alla norma. Ciò è in buona
parte dovuto alle difficoltà dell’organismo di adattarsi alle difficili
condizioni climatiche del deserto.
Non va dimenticato che durante il
giorno le temperatura toccano con facilità i 35 gradi, mentre la notte scendono
sino a 7 – 10 gradi. Lo shock termico è combattuto da molti corridori con il
ricorso sistematico alle saune nel periodo invernale.
Al termine di ogni prova diventa
fondamentale dedicare tempo alla cura della persona, medicando le ferite ed
assumendo posizioni quanto più comode possibili per recuperare la fatica e
rimettersi in sesto.
In genere la stanchezza prende
presto il sopravvento e ci si addormenta
appena cala il sole, tanto più che bisogna levarsi non più tarsi delle
5,30 - 6 del mattino in modo da permettere agli inservienti di smontare il
campo e rimontarlo in tempo debito
all’arrivo della tappa successiva.
Il sonno non è molto agevole, specie per chi non è abituato a dormire
sul duro. Nella tenda sono posti dei tappeti con lo scopo primario di
proteggere dall’ umidità e dagli scorpioni ma i sassolini creano un vero
tormento.
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